Un racconto scritto a quattro mani, anni fa, con Roberto Barelli.
L'ho ampiamente rimaneggiato da allora.
Una piccola escursione nel... giallo.
Passato imperfetto
'Una lettera, di carta. Cioè, voglio dire, un oggetto di un altro tempo.' Pensò passandosela tra le mani.
Era carta di qualità, buona grammatura, forse artigianale. La lettera era indirizzata a lui. Scrittura chiara, elegante, da maschio, avrebbe detto.
“No, niente, le solite bollette.” Aveva risposto alla moglie, senza sapere perché le mentiva. Era curioso di sapere da dove arrivava la lettera. Si chiuse in bagno e l'aprì.
Effettivamente veniva da un altrove molto distante. Trenta anni ad occhio e croce,
almeno dall'intestazione: 20 Febbraio 1981 !“
Guardò con attenzione l'affrancatura; il dazio era senza dubbio in lire, una riproduzione di una delle tante opere d'arte italiche.
Il primo pensiero, ironico, andò all'evidente inefficienza delle Poste, e non poté fare a meno di fantasticare su importanti notizie da cogliere al volo, che gli avrebbero cambiato la vita ma che... oramai... Oh ! Il postino l'avrebbe sentito il giorno dopo ! L'avrebbe maltrattato a prescindere e... e... un attimo.
Riguardò la busta: l'indirizzo era chiaro, sia il suo nome che la strada ed il numero civico.
Ah... è uno scherzo. Pensò. Trent'anni prima quella strada neppure esisteva, c'erano solo dei campi e lui e sua moglie abitavano in quella bella villetta di nuova costruzione da appena due anni.
Oppure un errore, uno strano errore, visto che eravamo a novembre ed era il 2013.
Continuò a leggere, ma dopo la prima riga si fermò e tirò il fiato: “Ma che cazzo...”
“Non la tengo più, esci!”
Richiuse la busta, tirò l'acqua e fece posto ad Antonella, che si chiuse dietro la porta con un “Finalmente!”.
C'erano altri due bagni in quella casa ma... Antonella li aveva dichiarati 'verboten': “Tanto dopo mica li pulisci tu !”
Quindi quello doveva essere sempre disponibile per le necessità di ambedue.
In camera da letto si tolse il pigiama e cominciò a vestirsi per uscire. La busta sul letto, accanto alla giacca, occupava i suoi pensieri. Quello che aveva letto non era tutto, ma già l'incipit era sufficientemente vertiginoso. Chi gliela mandava ? Gli venne subito in mente l'odioso vicino, il vecchio. Per quanto si fosse sforzato di essere gentile e accogliente, il tipo teneva ben bene le distanze anzi, subdolo, metteva ogni giorno nuove regole alla loro convivenza: l'erba del prato troppo alta, la cancellata rugginosa, i rumori molesti, nulla sfuggiva, tolleranza zero ! “Vecchio stronzo. Divertiti, che prima o poi giocherò la briscola...”
“Lorenzo, ma con chi parli ?”
Cazzo, non l'aveva sentita. Coprì la busta spostando la giacca.
“Niente amore, niente...rimuginavo tra me e me.”
“Dove sei oggi?”
“Vado da Settembrini in Provincia, vediamo a che punto è la pratica, pranzo con Nicola per un'ultima occhiata a quel progetto per le scuole e poi passo da Giovanni a vedere cosa combina con le arnie.”
“Sicché non ti vedo fino a stasera ?” Gli chiese, cingendolo al collo.
Lui era un po' freddino, ma cercò di dissimulare; in fondo non capitava spesso che le mentisse su tutto quello che avrebbe fatto, anzi, era proprio la prima volta.
“Si cara, oggi va così” rispose guardandola negli occhi, “puoi provare a chiamarmi nel primo pomeriggio, se hai bisogno.”
“Sopravviverò” concluse lei, schioccandogli un bacio a fior di labbra. Uscì dalla stanza, già pronta, mentre lui stringeva il nodo alla cravatta.
“Io pranzo da mia sorella e poi vado a far la spesa. Dovrei essere a casa per le quattro, vuoi qualcosa di particolare ?”'Il vecchio non può sapere nulla di quelle cose... Forse è solo quel che sembra: una lettera consegnata con mooooolto ritardo, ma allora...'
“Lorenzo?! Mi ascolti ?”
“Si amore, sono pronto, prendo la grande.”
“Non c'è problema... ma stai bene ? Mi sembri assente.”
“Tutto bene cara, mi sto preparando ad affrontare il burocrate senza strozzarlo. Sai da quanto aspettiamo quel permesso, no?”
Si salutarono, salendo ognuno nella propria automobile. Lui simulò la ricerca di qualcosa nel cassettino, voleva rimaner solo. Finalmente lei partì. Riprese la busta, fissando la casa del vicino. La riaprì.
“Signor Mazzini!”
Si girò di scatto verso la voce che lo aveva fatto sobbalzare. Era lui, il malefico vecchio. Si ricompose e abbassò il finestrino.
“Il suo ciliegio ha le ciliege mature.”
Era alto quanto lui, all'incirca, completamente calvo, con uno sguardo algido, inespressivo.
“Le può cogliere, se vuole, per noi sono troppe.” Rispose Lorenzo con un sorriso magnanimo ed indulgente.
“No guardi, io non posso fare cose pericolose. Cadono, le sue ciliege, cadono sul mio porfido e lo macchiano. Dovrebbe provvedere. E' la sua pianta.”
Gli passò tutto il buonumore. Lo stronzo.
“Ha ragione, domani sego il ramo!”
“Ma cosa dice? I ciliegi non si toccano, si seccherebbe! Non sia sciocco. Vanno solo colte.”
“Lo farò, non si preoccupi. Adesso mi scusi ma devo andare. Buona giornata.”
Partì mandando giù un fiotto di bile. E dire che gli aveva fatto simpatia la prima volta, gli ricordava qualcuno.
Forse anche quel qualcuno che gli ricordava era uno stronzo.
La strada era insolitamente sgombra per un mattino feriale e presto dimenticò il battibecco.
Superò le stradine del circondario, superò la circonvallazione e, una volta tanto, evitò l'autostrada preferendo la lunga e tortuosa statale. "Quando entri in autostrada sanno da dove vieni e dove vai", pensò mentre guardava il cassetto dov'era la busta. Ridacchio nervosamente, e si sforzò di canticchiare la musichetta insulsa sputata dalla radio. Dopo un'ora circa si fermò quasi in cima ad un valico appenninico. Parcheggiò la berlina al riparo dalla vista, mise la lettera in tasca e si diresse verso un tratturo apparentemente abbandonato da molto, molto tempo.
Era piovuto da poco, ed il fango era alto. Gli giravano alquanto le scatole mentre affondava le sue eleganti scarpe di marca, senza dubbio adatte ad una sala conferenze, in quella melma.
"Al ritorno dovrò comprarne di nuove prima di entrare in casa... E magari anche i pantaloni..."
Ci avrebbe pensato dopo, ora c'erano altre priorità.
La prima era alla fine di quella strada dissestata, dopo un paio di chilometri.
Maledì il vicino di casa, senza motivo, per tenersi in allenamento.
Il bosco si era progressivamente ripreso la zona. Trent'anni prima la si sarebbe potuta chiamare 'stazione climatica', ma il periodo d'oro era ancora antecedente, quando lassù gli inverni erano lunghi e nevosi e avevano creato le condizioni per una fiorente attività sciistica. Poi il clima era cambiato, i clienti erano invecchiati e piano piano scomparsi.
Lui si era affacciato a quei luoghi con la baldanza della gioventù e tanti sogni.
Eccolo, 'l'Overlook Hotel'. Dopo una curva apparve la sagoma dell'ostello svettare tra rovi e macchia che lo stavano inghiottendo. Isolato, in vetta all'Appennino, massiccio. Gli amici lo avevano canzonato un bel po' quando gli aveva raccontato del tempo in cui aveva lavorato li tanti anni prima. Da bravi nerd cinefili se lo erano subito visto percorrere i lunghi corridoi della struttura immersa nella neve, con una scure in mano e conti da regolare con una certa Wendy.
Lorenzo in quel periodo della vita aveva visto tante cose in quel posto: la possibilità di star lontano da Marta ad esempio, la sua ragazza di allora, e la responsabilità della gestione di una cosa grossa, con 80 posti letto, per dimostrare a se stesso che nella vita non sarebbe stato un fallito, un buono a niente.
“E' una cooperativa Ugo, i soldi all'inizio saranno pochini, ma se saremo capaci di rimediare alla cattiva gestione precedente, i benefici saranno per tutti.” Aveva risposto al suo migliore amico che esprimeva perplessità.
E adesso, trent'anni dopo, era di nuovo lì, guidato, come si dice faccia la bacchetta del rabdomante, da quella lettera che teneva in pugno.
La lettera era di Piero.
La grafia incerta e l'italiano approssimativo, gli erano apparsi subito in linea con lo stile di Piero, anche se non si spiegava la diversa mano che aveva vergato l'indirizzo. Non l'aveva ancora letta, ma il timbro sulla busta e la data all'inizio del testo concordavano su di un semplice, incontrovertibile fatto: Piero l'aveva scritta da morto.
Pochi metri ancora e sarebbe arrivato. Rimase ancora un po' a guardare la struttura, abbandonata e tetra, certo, tuttavia non ancora domata dalla natura. Qualche vetro rotto, alcune assi staccatesi dal rivestimento, ma nulla più. Qualcosa di diverso era però evidente: l'intonaco, complici il ghiaccio e l'incuria, era venuto praticamente via tutto. In cima ai tre piani, mai vista prima, era ricomparsa la traccia di un'antica scritta, risalente alla costruzione dell'albergo: 'Credere, obbedire, combattere'.
“Immaginavo fosse una struttura del ventennio”, pensò Lorenzo, “pratica e ben costruita, ma di poca grazia”.
Davanti all'ingresso sbarrato, un'ampia piazzola, in parte smottata.
Lorenzo si guardò i pantaloni e le scarpe, lerce di fango, maledicendosi ancora per la sua poca preveggenza ed il suo scarso senso pratico. “Pensare a degli stivali ? No, eh !?” Scosse la testa.
Oltre la piazzola, curiosamente, il sentiero diventava una vera strada, per quanto abbandonata da decenni. Dopo qualche centinaio di metri si svelava l'arcano: la struttura era originariamente collegata alla valle, ed alla civiltà, da una veloce strada comunale; le piogge del 1966 si erano mangiate un vecchio ponte in un'alta gola, condannando l'albergo all'isolamento.
Lorenzo identificò una delle vecchie panchine in pietra davanti alla struttura e vi si mise seduto.
Accese una sigaretta e rimase li pensieroso, improvvisamente rapito da eventi lontani.
Ripensò al 1979, alla gestione di quel luogo, dal nome 'Ostello dell'Elfo felice'... una delle prime esperienze cooperative in campo alberghiero che mai si fossero viste in Italia. Aveva iniziato in giugno... e tutto era finito, male, dopo neppure due anni.
Sentì nei piedi le lunghe camminate, ben più lunghe di quella appena effettuata, per arrivare al primo posto pubblico e telefonare a Marta, la sua fidanzatina, ogni due o tre giorni; si immaginò il cuoco, burbero e sporco come nel peggior stereotipo, le due ragazze mandate dalla curia ogni mattina a rifare i letti ed a pulire.
E poi c'era Piero.
L'altro socio, il suo parigrado; un vecchio amico, se si può essere vecchi amici a 19 anni.
Piero, di un simpatia unica, dall'eloquio veloce e sgrammaticato.
Piero, che finì nel burrone quel nevoso febbraio 1981.
Piero, che lo invitava all'Elfo felice esattamente quel giorno, con una lettera scritta trent'anni prima.
Lorenzo riguardò la busta e la lettera; la grafia sulla prima, bella ed elegante, sconosciuta, nulla aveva a che fare con lo scritto sulla lettera.
“Sono qui Piero”, pensò, “cosa vuoi ancora da me ?”
Nella lettera c'era tutto, poteva essere stata scritta il giorno prima della morte, o quello dopo: le difficoltà della gestione, l'isolamento, il tentativo di screditarli da parte degli altri soci, ma anche le soddisfazioni, i complimenti da parte dei clienti e le speranze per il futuro. E infine la cosa che lo aveva fatto sobbalzare: Una accusa diretta di essere il responsabile della sua morte.
Piero era arrivato lassù con un percorso diverso da quello di Lorenzo. Figlio di due fricchettoni girovaghi, aveva passato l'adolescenza allo sbando: irrequieto e indisciplinato, tossicomane già a quindici anni, faceva quel che voleva nell'indifferenza camuffata da tolleranza dei genitori, che giravano l'Italia con la loro bigiotteria pacchiana, passando dalle poche comuni rimaste, alle comunità d'accoglienza che sfruttavano finché potevano. Piero allora era uno zingaro agile e nervoso, capace di raggirare chiunque coi suoi occhioni da cucciolo e di stare al tempo lontano dai guai. Le scuole, che cambiava quasi mensilmente, erano il teatro dei suoi piccoli imbrogli e delle sue smargiassate. Nessuno era capace di piegarlo ed il pubblico era sempre numeroso e disponibile.
Tutto cambiò la notte che, con la complicità di un ragazzino più piccolo che lo adorava, Mattia, entrò di nascosto a scuola per saccheggiare l'aula di esercitazioni tecniche: non aveva calcolato la presenza di un clandestino a bordo, il bidello che amoreggiava in palestra con l'amante. La fuga precipitosa si era conclusa in tragedia, con la caduta di Mattia dalla stessa finestra da cui erano entrati. Lui riuscì a farla franca, Mattia morì per le conseguenze dell'incidente.
La cosa ebbe conseguenze notevoli: Piero litigò a morte e poi chiuse con i genitori, cercò rifugio nel nonno paterno, un vecchio professore in pensione, vedovo, che dopo le prime difficoltà, creò un legame saldissimo col nipote. Il senso di colpa feroce per il suo segreto inconfessato e la bonaria fermezza del nonno dettero a Piero la spinta per concludere gli studi e poi mettersi a cercare un lavoro; furono i buoni uffici del nonno a farlo avvicinare alla cooperativa.
Per lui e per Lorenzo fu una sorta di famiglia allargata: le responsabilità sfumate, la direzione collegiale, gli ideali comuni coltivati e quel po' di goliardia dovuta alla giovane età di quasi tutti i soci.
Lorenzo era sugli scalini screpolati dell'ingresso, la porta principale, ovviamente chiusa, non sembrava un serio ostacolo: legno marcio e curvo.
Stava per sfondarla, con un calcio ben messo, quando fu preso dagli scrupoli, o forse dalla paura.
Eppure non doveva averne, aveva passato ben altro.
Il povero Piero si lamentava delle sue origini; Lorenzo sorrise amaramente; anche le sue erano state difficili.
A partire dal nome.
Tutti lo conoscevano come Lorenzo Mazzini, però Mazzini era il cognome della madre. In effetti risultava registrato all'anagrafe come Stanislav, Stanislav Baldazar.
Suo padre era stato il primo acrobata del Gran Circo statale della Bulgaria, il famoso Lazar Baldazar.
In turné in Italia, alla fine degli anni 50, era fuggito dal socialismo reale con un geniale escamotage, approfittando della confusione provocata liberando le tigri dalla gabbia.
La fuga riuscì, ma una delle tigri sbranò Arcady, un suo caro amico.
La storia ebbe molta risonanza, tanto da meritare una copertina di Walter Molino sul rotocalco rosa Grand Hotel.
Appresa la notizia, Lazar subii un fortissimo shock, dal quale non si riprese mai.
Fin troppo facile scivolare nella depressione e nell'alcolismo.
Comunque bello e prestante, dal fascino 'esotico', non fece fatica a trovar moglie in Italia.
Stanislaw arrivò presto, ma non portò l'attesa felicità nella coppia.
Presto il loro rapporto divenne difficile, costellato dagli scatti di violenza, i cambi repentini d'umore, e l'incapacità di Lazar di trovare una posizione in questo nuovo mondo.
I primi anni di vita furono un inferno per Stanislav.
Tutto finì il 24 settembre 1969, quando Lazar, ormai acrobata del triste circo Antonello Orfei (solo un omonimo), si schiantò a terra, provando un triplo salto mortale con una federa in testa, senza rete e con troppo alcool in corpo.
Lorenzo scacciò i pensieri, e si concentrò sulla porta.
Prese la rincorsa ed assestò una formidabile pedata alla porta.
Disgraziatamente questa era solo accostata, e Lorenzo rovinò pesantemente molti metri oltre l'ingresso.
"Cazzo !" Fu il suo primo pensiero.
L'interno era pieno di sudiciume assortito: bottiglie da tutte le parti, segni di falò, vecchi materassi, giornali, siringhe.
Ripensò alle lunghe chiacchierate con Piero, ai suoi racconti di gioventù. Parlava spesso dei genitori, dei patetici tentativi che avevano fatto di riavvicinarlo, secondo lui per scroccargli un po' di denaro.
Dopo la morte di Piero ci provarono anche con lui. Lorenzo aveva scoperto dentro di se un certo coinvolgimento, che non avrebbe sospettato: “L'amore è responsabilità, signora! Voi che responsabilità vi siete presi con Piero?”
“Lo abbiamo sempre amato, abbiamo cercato di farlo crescere libero e indipendente...”
“E cosa le ha fatto pensare che lui non volesse dipendere?
“Senti giovanotto, sono un po' troppo grande per farmi fare la predica da te! Ci vuoi aiutare?”
“Vattene.”
“Mio marito ha bisogno di cure.”
“Dove siete stati tutte le volte che ha avuto bisogno vostro figlio ?”
L'ultima immagine che conservava di quella donna erano gli occhi sgranati e la bocca semi aperta oltre la porta, mentre la chiudeva fuori di casa. Suo marito era morto un mese dopo, rifiutando le cure per una forma di cancro comunque implacabile.
Ripensava spesso a quello scambio, e come a posteriori illuminasse il rapporto che lo legava a Piero: una sorta di fratellanza, od almeno così aveva creduto.
Entrò nella reception, che includeva anche l'appartamento del gestore, quello che aveva occupato lui. Piero si era preso uno sgabuzzino accessibile solo dalla cucina, che da bravo insonne saccheggiava durante la notte.
Piero e Lorenzo formavano una coppia di gestori quasi ideale: affiatati, instancabili, tutti e due con qualcosa da dimenticare e tutti e due con qualcosa da dimostrare. L'impegno però, nonostante l'entusiasmo, si era rivelato soverchiante, anche perché gli altri soci si erano ben guardati da dir loro le cose come effettivamente stavano e loro erano troppo occupati a badare a se anche solo per intuirlo.
E poi c'era Marta.
Lorenzo di fronte ai continui tira e molla della ragazza aveva deciso, in maniera piuttosto teatrale, di accettare quel lavoro così lontano. Non si erano lasciati, forse non ne sarebbero stati capaci, ma lui esprimeva la sua malinconica insoddisfazione allontanandosi da lei.
“Abbiamo fatto l'amore due volte in sei mesi ! Perché fa così?”
“Forse nun sta bbene, c'ha problemi a casa.”
“Macché, i suoi li vede tre volte all'anno, con la sorella va d'amore e d'accordo. Mi dice sempre di avere pazienza con lei, che per lei è difficile per la storia di suo cugino, sembra una barzelletta, un giorno te la racconto... sostiene che stiamo bene lo stesso... ma non è vero...”
“Forse deve capì se sé pò fidà...”
Piero lo ascoltava pazientemente, ma non era un suo problema. Con le ragazze, era belloccio, non aveva troppi patemi, tanto più che non si impegnava in nessun modo e scaricava velocemente quelle troppo 'appiccicose'.
Quanto poi per Piero non fosse un problema, Lorenzo ebbe modo di scoprirlo presto.
Il 1980 si stava esaurendo, i soci della cooperativa erano sempre meno attivi in quell'avventura: Lorenzo e Piero erano sempre più soli, ormai unici responsabili del destino dell'Elfo.
E la gente era sempre meno presente.
Lorenzo non riusciva a capire; l'accoglienza era calda ed amichevole, il cibo più che buono ed il resto era dato dalla stupenda natura quasi selvaggia per chilometri e chilometri intorno all'albergo.
Cosa mancava ?
Qualche avventore gli aveva fatto notare, un po' seccato, l'assenza del telefono, qualcuno si era spinto oltre, rimpiangendo un televisore.
Davvero erano questi i problemi ? Avevano creduto che fosse un ottimo posto per staccare un po' la spina dal Mondo, invece questi sembravano impedimenti, anziché valori.
Il telefono una volta c'éra, la linea era sparita col ponte franato.
L'ultimo dell'anno 1980 fu un fallimento epocale; nonostante la pubblicità data dai manifestini attaccati in tutti i bar della zona, il passaparola fra amici, addirittura l'inserzione pubblicitaria, costosa per le loro possibilità, nel quotidiano più letto in zona, le prenotazioni non arrivarono.
Solo sette posti vennero occupati da un gruppo di preghiera, una specie di setta guidata da un inquietante carismatico, dall'aspetto sospettosamente simile a Rasputin.
L'atmosfera di festa dell'ultimo dell'anno venne completamente disattesa: mangiarono pochissimo, mentre il santone blaterava qualcosa sulla fine del Mondo. Alle 22 gli avventori era tutti a letto.
"Buon anno !" Riuscì a farfugliare Piero verso le due, prima di cadere in un vero e proprio coma alcolico, quasi sbattendo la testa sul tavolo.
"Sarà un grande anno" disse Lorenzo alzando il calice, salvo accorgersi che ci aveva spento l'ultima sigaretta: "Non potrà essere peggiore di questo".
La luce, all'interno dell'edificio filtrava a stento, ma Lorenzo riconobbe ogni angolo: lì la scrivania, gli scaffali, la porta della camera, Marta. Mentre camminava in quello sfacelo veniva continuamente rapito dal ricordo.
La sua strategia malinconico-rivendicativa, non aveva funzionato. Le telefonate erano lunghe e appassionate, ma di persona Marta era distante e sfuggente ed a stento placava l'ardore e lo slancio di Lorenzo. Lui nutriva sentimenti contraddittori: era stufo della situazione, ma l'ambiguità di lei lo teneva lì, fermo. Sentiva l'ascendente che aveva su di lei e cercava di stanarla, ma non avrebbe saputo dire se si trattava di amore.
Il 31 dicembre 1980 c'era anche lei alla festa di fine anno dell'Elfo felice. Lorenzo l'aveva praticamente implorata dopo la partenza del cuoco e nessun altro aiuto su cui contare.
Il lento declino della struttura era stato inesorabile, nonostante l'attivismo dei due amici. La zona era uscita dalle grazie del turismo di massa, a causa del cambiamento climatico e della scarsa lungimiranza degli imprenditori e dei politici della zona. Questa era la parte toscana dell'appennino, gente più chiusa, più burbera, imprese piccoline a conduzione familiare e seconde generazioni ben pasciute, poco disposte ai disagi della vita di montagna. Oltretutto Lorenzo e Piero ignoravano che l'Elfo felice era stato merce di scambio di una trattativa su ben altro.
Lorenzo, a dire il vero, ebbe modo di intuirlo.
“Come cazzo ti è venuto in mente di mandarmi un richiamo disciplinare, Alberto ?”
“Non ti preoccupare Lorenzo, è un pro-forma. Lo sai quanto siamo soddisfatti del tuo lavoro, ma sai anche che nel consiglio direttivo c'è gente a cui fai ombra quindi... per forza, dobbiamo mandare le lettere di richiamo, le regole valgono per tutti, no? Ma noi, nell'occasione, facciamo in modo di contarci e li mettiamo in minoranza, questi rompicoglioni.”
Alberto lo aveva abituato a questi discorsi fumosi.
“Mi sa tanto di inculata, Alberto... se pensi che mi faccio mettere all'angolo così, senza reagire, ti sbagli di grosso.”
“Ooooh Lorenzino, macché angolo... te l'ho detto, è una formalità! Eppoi, scusa, è vero o non è vero che avete fatto andare in malora il contenuto della cella frigorifera ?”
“Si, cazzo, ma la responsabilità era del cuoco, no ?”
“E se manca il cuoco?”
“Io ero in città a prender Marta, era rimasto Piero...”
“Vedi che cominci a capire!” Concluse Alberto con un sorriso sornione.
Si, peggio non poteva andare.
Oltretutto nessuna prenotazione era in vista.
Ma la situazione precipitò ancora.
Era la sera del 4, l'indomani Marta sarebbe tornata a casa. Lorenzo impazziva sul libro contabile, specchio evidente di un fallimento senza appelli. Il frigo saltato aveva fatto un danno terribile, cancellando i già scarsi guadagni degli ultimi tre mesi.
Quella sera Lorenzo si attaccò alla bottiglia di nocino, incurante di Piero e Marta che, al contrario, sembravano aver voglia di scherzare e tirare tardi. L'albergo era desolatamente vuoto.
Piero si era presentato con una scassatissima Fiat 127 Rustica, utilizzata a mò di fuoristrada, recuperata chissà dove, e si divertiva un mondo a consumar benzina sulla neve fresca. Che Marta lo accompagnasse non aveva destato ne sospetti ne preoccupazioni in Lorenzo.
Il giorno dopo si era svegliato nel tardo pomeriggio, con un fortissimo mal di testa. Cerco i due senza trovarli; i letti erano intonsi e la 127 mancava.
Nonostante la neve, che fioccava feroce, e la nausea che lo accompagnava ad ogni passo, corse fuori in cerca dei due ragazzi.
Temeva una disgrazia.
I segni delle ruote ancora si vedevano e invece che la mulattiera verso la provinciale, indicavano il passaggio per il vecchio ponte, come direzione di marcia. “Forse i due deficienti”, pensava Lorenzo attraverso le fitte del mal di testa, “sono lì a contemplare il burrone”.
Infatti scorse l'auto all'imbocco del vecchio ponte: se li immaginò a fumare e ad ascoltar musica, incuranti degli impegni e della tormenta. A dire il vero aveva notato un certo feeling tra i due: non sapeva se sentirsi geloso, un po' era orgoglioso che il suo amico avesse posato gli occhi sulla sua ragazza. Gli era sembrata una sfida interessante lasciarli flirtare, lasciar allontanare Marta e poi riacciuffarla.
Un gioco assurdo che poteva immaginarsi solo un ventenne.
La ragazza sembrava entusiasta di quella strana tensione, i baci tra loro si erano fatti via via più appassionati e finalmente avevano rifatto all'amore. Piero sembrava tranquillo, non voleva certo litigare con Lorenzo, per quanto negli ultimi tempi si era fatto un po' stronzo nei comportamenti.
Marta era stata male diversi mesi: pensava che con Lorenzo fosse finita, ma era dilaniata dai sensi di colpa per la depressione in cui lui era piombato e se ne sentiva responsabile. In quelle lunghe telefonate lui sapeva essere romantico, la faceva sentire importante, preziosa. Alla fin fine quando si vedevano, pur di rado, stavano anche bene e il desiderio riprendeva ad ardere; almeno fino alla soglia della camera da letto. Lei non riusciva ad abbandonarsi, c'era qualcosa di storto nella situazione. Allora cercava di soddisfarlo come meglio poteva, ma si sentiva sporca, sbagliata, nel mentre e dopo.
Negli occhi di Piero aveva subito visto qualcosa. Erano grandi e dolci, ma beffardi. La bocca poi, ben disegnata e sensuale, era sempre sorridente: Piero sembrava saperla lunga e soprattutto non aveva il senso tragico della vita di Lorenzo.
. Quando erano tutti insieme ridevano e scherzavano, qualche volta pure con una certa malizia, ma lei era pur sempre la donna di Lorenzo. Ma quando lui non vedeva, la leggi universali dell'attrazione si erano già attivate.
Lorenzo avanzò ancora nella neve e dai finestrini appannati capì che ancora, se non altro, erano vivi. Ripassò mentalmente una scenata alla Mario Merola, di gelosia e furore, con cui prima li avrebbe fatti sobbalzare e poi morir dal ridere e si avvicinò al lato guida per aprire lo sportello.
Ma qualcosa lo bloccò: e se davvero... e se aprendo quella portiera li avesse trovati nudi, sudati e stanchi ? Va bene la simpatia, l'idem sentire... Va bene il gioco dell'attrazione, ma...
Improvvisamente si ritrovò incazzato nero, sicuro che i due gliela avessero fatta dietro le spalle.
I pensieri scherzosi erano spariti in un secondo, insieme alla sbornia.
Prese con violenza la maniglia della portiera di sinistra, ma questa gli rimase mestamente in mano.
“Auto del cazzo !” Fece in tempo a pensare, prima di aprire lo sportello con un calcio.
“Siete due stronzi !” Urlò cieco, salvo ammutolirsi di colpo.
Piero, seduto al volante, si muoveva a fatica; gli occhi, persi nel nulla, erano bianchi e privi si espressione. Tentò di fare dei gesti a Lorenzo, indicando in qualche modo l'altro sedile.
Marta vi giaceva riversa, con la bocca schiumante e gli occhi chiusi. Da un braccio nudo aveva perso del sangue, ormai rappreso, e per terra c'era una siringa di vetro spezzata in due.
Lorenzo balbettò, corse all'altra portiera e prese Marta fra le braccia. Abbassò l'orecchio sulla bocca di lei: respirava... forse.
Corse al volante, spinse l'intontito Piero nel divanetto di dietro e, con difficoltà e bestemmie, mise in moto l'auto. Ringraziò mentalmente la madre, che lo aveva obbligato a prendere la patente mesi prima, ed in qualche modo riuscì a raggiungere la via principale, dopo aver battuto l'auto ovunque fosse stato possibile.
L'ospedale più vicino era a venti chilometri.
“Stronzistronzistronzistronzi e più stronzo ancora io che non me ne sono accorto!” Pensava guidando per i tornanti ghiacciati.
Ebbe la visione della complicità tra i due, non più come espressione di una qualche sintonia erotica, ma di un vero interesse in comune. Ne aveva anche parlato con Piero, sembrava essere del tutto fuori da storie di droga. “La droga è una mmmerda!” Gli sentiva dire: “un minuto de ggloria pé giorni d'inferno! Nun riesci a pensà ad altro quando nun te fai e quanno te fai pensi quasi subito alla vorta doppo: se te ne rimane , quanta ne rimane, a chi puoi chiedé n'buco. Guarda, sò proprio contento d'aristarmene quassù, lontano dall'occhi, lontano dar core. E poi tira fuori proprio er peggio dae persone, nun esistono più relazioni disinteressate. Omini, donne, amici, parenti: quello c'ha i soldi, quello sa ascoltà senza fa troppe domande, quello conosce quell'altro, tutti sò in relazione con l'eroina, diretta o indiretta.”
Aveva sentito dire che i tossici erano tutti bugiardi, ma questa... Guardò Marta, bianca come un cadavere imperlata di sudore; mandava un odore schifoso di vomito e urina, ma non osò controllare a fondo.
Quando voltò la testa per guardare la strada, il cervo era al centro della carreggiata, di tre quarti, che lo fissava senza muovere un muscolo.
Come toccò il freno l'auto si intraversò e scivolando di sbieco in mezzo alla strada, si infilò nel varco tra il guardrail ed un albero, giù nel precipizio. Il cervo aveva assistito indifferente all'intera scena.
“Senti Alberto, io non mi faccio processare da voi sgallettati. Ho capito il giochino: l'ostello serviva solo per accreditarsi con l'assessore, vi deve aver promesso che se riuscivate a restare aperti, anche a rimessa, poi la ristrutturazione e la gestione rinnovata, avrebbe fatto in modo di affidarla a voi. Noi due scemi lassù a fare i salti mortali e voi qui col ditino a indicare quello che non va. Immagino che un progetto del genere, non debba avere troppa pubblicità, vero? E soprattutto troppi convitati; ma io non mi faccio tagliare fuori. Pensa che peccato se le opposizioni ne venissero a conoscenza dalle pagine di un giornale...”
“Nessuno ti vuole tagliar fuori, carissimo” rispose quello con un sorriso da squalo, “inoltre qui non stiamo parlando solo di me e di te, ma di un'intera cooperativa, dove lavorano tante persone...tante famiglie cui uno scandaletto come questo potrebbe nuocere seriamente. E poi scusa, ma le tue responsabilità in questa vicenda, praticamente non ci sono. Anzi, sai che faccio? Riscriviamo daccapo la lettera disciplinare, invitando Piero a rispondere dell'errore e convocando te come testimone. Che ne dici?”
Lorenzo nell'incoscienza dell'urto, riviveva le ultime vicende: aveva deciso di dire tutto a Piero, anche se ci sarebbe dovuto arrivare da solo, come aveva fatto lui. In ogni caso, i contorni che la storia stava assumendo non si adducevano più al romantico idealista che pensava di essere: adesso occorreva un po' più di senso pratico.
“Ma che sò impazziti? Anche Alberto, anche Sara ?”
“Piero, loro fanno quel che devono. Sai che Vincenzo e Patrizio son sempre stati gelosi della libertà che avevamo quassù, io e te. Apertamente non lo hanno mai ammesso, ma sono loro che hanno messo in giro la voce che ci intaschiamo i soldi della cooperativa.”
“Ma che sò matti? Io glie spacco a faccia a quelli lì. Ce semo rotti er culo qui, per fà annà avanti a bbaracca, in pieno isolamento !” Piero era furioso, quelle accuse gli rievocavano quelle cui era abituato da tossicomane: bugiardo, interessato, inaffidabile. Ma, affermava, stavolta aveva giocato secondo le regole !
Lorenzo aprì gli occhi.
Era semiaffogato nella neve, a faccia in giù.
Aveva ripreso a fioccare violentemente. Non sapeva da quanto fosse svenuto, di certo era quasi ricoperto dalla neve fresca. Si toccò, forse perdeva del sangue dalla fronte, forse aveva smesso già di sanguinare.
Ma dove era l'auto ?
Si mise seduto a fatica, rendendosi finalmente conto che era ancora in pigiama, pigiama e ciabatte.
Improvvisamente fu conscio del freddo, un freddo implacabile che gli arrivava al midollo.
I postumi della sbornia, la rabbia prima e la paura poi gli avevano impedito di comprendere come fosse uscito fuori dall'albergo in modo del tutto inadeguato.
Cercò di ignorare il tutto ed iniziò a guardarsi intorno, ad urlare: -“Pieeroooo ! Maledetto stronzo... Dove seiiiii ? Piero !!!” Dalla tormenta ritornò un debole eco, e null'altro; ormai non si vedeva che a pochi metri. Pensò non vi fosse alternativa che tornare sulla strada e cercare aiuto.
Iniziò con fatica ad arrampicarsi, agguantando con le mani sempre più intorpidite ogni sterpo, ogni ramo che trovava. Dopo pochi metri aveva già perso le ciabatte, ed il leggero pigiama azzurro si stava lacerando fra i secchi rovi.
Percorse poca strada ancora, aveva un furioso mal di testa, forse dovuto alla botta che sicuramente aveva dato da qualche parte.
“Quei due devono essere morti” pensò, senza neppure riuscire a definire una qualsiasi emozione a riguardo. Ebbe l'immagine della 127 in fiamme, con i due, incoscienti, intrappolati dentro.
“Almeno avranno caldo.” Un ghigno gli si disegnò sul viso e cadde ancora a terra.
“Devo resistere, devo camminare... come è nei film in questi casi ? Chi si ferma muore.”
Continuava lentamente a salire, ormai quasi strisciando.
“Come Jack London... si come Jack London...” Pensava a quei romanzi ambientanti durante la corsa all'oro in... Alaska ? Nel Klondike ? No, il Klondike è in Canada... Pensa Lorenzo, pensa e cammina.” Non sapeva quanto tempo fosse passato, ma sembravano ore.
Non sentiva più nulla, ne mani ne piedi; stava realmente camminando ? O fluttuava ?
“Ora che succederà, morirò qui come un coglione ? Questo è l'Appennino toscano, non il Polo !”
Non stava pensando, stava urlando con la poca voce rimasta.
Il torpore stava sostituendosi ai mille aghi di ghiaccio che sembravano tormentargli la carne.
“Devo stare sveglio, stai sveglio Lorenzo... Come si chiamava il cane di Jack London ? Il cane del libro... No, non Rintintin, no... Era... Braccobaldo, si... Braccobaldo... Il cane delle nevi.” Si mise a ridere ed a singhiozzare, e svenne.
Avrebbe sacrificato Piero, e sarebbe stato reintegrato nella cooperativa. Ne era sicuro.
Prima però sarebbe morto.
“Lorenzo, Lorenzo ! Ehi, scemo, svegliate a bbimbo !”
Aprì gli occhi, pian piano focalizzò di essere in un letto. Un letto d'ospedale.
Alla sinistra aveva un'asta con un florilegio di flebo di ogni colore.
Davanti al letto, in piedi, in apparente splendida forma, c'era Piero.
“Ma che hai combinato fraté, sei rincoglionito del tutto ?” Piero sorrideva.
Dietro di lui c'era Marta.
Anche lei sembrava star bene a prima vista, ma due spaventosi pestoni sotto gli occhi la tradivano e Lorenzo scommise che non era per il pianto.
“Ma chett'e guidi che a malapena sai mannà er Garelli ! A momenti c'ammazzavamo tutti. La Rustica è ridotta an'feraccio. Mò che gliè dico a mi zio ? Eppoi fortuna c'a tò ritrovato subito e tò sarvato a vita... Ma che té vai a fa l'omo delle nevi ? A Yeti !”
Piero fece una mezza risata, ma era evidentemente forzata.
Marta iniziò a singhiozzare e corse fuori dalla stanza.
Lorenzo chiuse gli occhi. Ora avrebbe dormito, al caldo.
Più tardi li avrebbe uccisi, tutti e due.
Il ricovero durò alcuni giorni, più per scaramanzia che per necessità. Piero passava dall'ospedale tutte le mattine e lo aggiornava su quanto succedeva:
“So vvenuti i caramba, Lorè, gli ho dovuto dì tutto.” Piero abbassò gli occhi. “Ssai del perchè eri imbriaco, di come avevi insistito per guidare nonostante io e Marta t'avessimo scongiurato...”
Lorenzo si girò su di un fianco e continuò ad ascoltare in silenzio.
“Sai son venuti a sapello anche ggiù. Alberto m'ha ddetto che aveva intuito qualcosa, che eri sfuggente, che nascondevi. Io ho provato a difenderti, gliel'ho detto che eri in para per la ragazzetta. Eh, le donne! Chi dice donne, dice danno...eh Lorenzì ?”
Lorenzo stentava a credere che quelle parole uscissero dalla bocca di Piero. Lo stavano mettendo all'angolo.
“...E poi che eri stressato, tutti questi mesi quassù, eh Lorenzì ? Tu te la pigli un po' troppo pe' le cose, no ? Sempre 'sta faccia appesa, eh Lorenzì ? A un certo punto pensavo che me volevi mette in mezzo, pensa te, sempre ombroso, nero nero. Comunque non ti preoccupare, la cooperativa pensa di concederti un periodo di riposo e semme dai retta, insabbiamo tutto quanto. Poi né io né Marta te denunciamo... i carabinieri lasceranno cadè la cosa. Le macchine... s'aggiustano, no? O se butteno! Mò te lascio, Lorenzì, torno su da Marta, che m'aspetta...Ciao caro, ciao ciao.”
Scacco al re.
Cristo, aveva avuto troppa fretta nel giudicare Piero, che aveva trovato pure un'alleata in quella stronza. Una mano lava l'altra e tutte e due lavano il viso. Due rottinculo in overdose diventano i prodi che salvano l'amico sbronzo. Lorenzo schiumava rabbia e impotenza.
Lorenzo, seduto nella reception semi distrutta, abbandonò i ricordi e tornò nel 2013.
Ma per poco.
Aveva avuto fortuna, una volta uscito da quel gruppo di imbecilli. Si era laureato brillantemente e, falciando senza pietà chiunque trovasse sul cammino, era diventato un immobiliarista di buon successo. La sua scelta di vivere in una villetta defilata era più una furbata ad uso della finanza, piuttosto una vera necessità.
Un giorno avrebbe avuto una bella villa, con tanto di piscina e vista panoramica, un giorno non lontano.
Ma prima doveva risolvere questa strana storia.
Prima doveva capire le intenzioni di questi fantasmi.
Prese di tasca la lettera, e la lesse per la prima volta per intero.
Con la sua scalcinata grammatica, Piero lo invitava in quella precisa giornata presso l'albergo, 'per chiarirsi una volta per tutte'.
“Il ponte !” Lorenzo lo disse ad alta voce, come se una lampadina da fumetto gli si fosse accesa nella nuvoletta uscita dalla testa.
“E' li che mi aspetta, è ovvio”.
Si avviò senza troppa fretta, osservando le sue scarpe ed i suoi calzoni ormai lordi di fango: “Niente da fare, non so mai vestirmi in maniera adeguata alla situazione”, ridacchiò.
Tornò a quei giorni del 1981.
Uscito dall'ospedale aveva trovato tutte le porte chiuse. Era stato espulso senza appello dalla cooperativa per 'comportamento sconveniente e mancata responsabilità'. Gli avevano fregato anche la quota d'ingresso.
Marta lo aveva scaricato con una laconica telefonata, senza che lui riuscisse a ribattere: 'Piero ha i suoi problemi, ma è un uomo vero ed insieme ne verremo a capo'.
Ciliegina sulla torta, l'albergo era ancora aperto, e Piero ne era l'unico responsabile.
Lorenzo terminò quel gennaio impegnandosi finalmente all'università. Quasi con rabbia fece il suo primo esame, ottenendo il massimo dei voti.
La madre ne fu contenta e, inattesi, vennero fuori un bel po' di soldi che neppure sapeva esistessero: avrebbe avuto la possibilità di studiare.
Incazzato col mondo, a metà febbraio aveva già dato il secondo esame, con ulteriore grande successo. Ce l'avrebbe fatta, tutti avrebbero visto cosa sapeva fare.
Infine arrivò il 19 febbraio.
Senza dir nulla a nessuno, Lorenzo aveva preso il tormentato vecchio autobus che, unico, raggiungeva quella remota parte dell'Appennino.
La neve era ancora alta, ma Lorenzo stavolta era pronto.
Eskimo, due golf e doposci ai piedi, si incamminò verso l'Elfo.
Il suo anonimato si giocava sulla barba lunga ed un paio di grossi occhiali scuri.
Arrivato all'albergo, aspettò la notte. La neve aveva preso a fioccare violentemente quando, intorno all'una, si presentò alla porta principale.
La chiave apriva ancora, non avevano cambiato la serratura.
Nel buio raggiunse la cucina, e si impossessò di un grosso coltello.
Quando spalancò la porta della camera di Piero, ormai in preda di pura furia omicida, rimase paralizzato sullo stipite.
Ancora un'entrata in scena con sorpresa...
Piero non era a letto da solo, questo Lorenzo se lo era aspettato, ma non c'era Marta con lui.
C'era Alberto, il dirigente della cooperativa.
“Chi cazzo ?” Sbraitò Alberto girandosi di scatto. “Ah, sei tu...vieni, Piero s'è sentito male, aiutami.”
Alberto gli dava le spalle, chino su Piero, il corpo scomposto sul letto sfatto. La stanza era sottosopra. Alberto era a torso nudo, Piero aveva solo una maglietta. Lorenzo infilò il coltello nel passante dei pantaloni, dietro la schiena, sotto il giaccone, e si avvicinò.
“Che è successo qui?” La voce gli uscì calma, inespressiva.
“Stavamo giocando Lorenzo, aiutami che non risponde.”
Piero era immobile, coi capelli appiccicati alla testa, sudato, la bocca semi aperta. Apparentemente non respirava, non si coglieva alcun movimento toracico.
“Togliti Alberto.”
Anche Alberto era sudatissimo e col respiro affannato. Lorenzo si chinò, cercò la pulsazione della giugulare. Niente. Si avvicinò al volto per cogliere un respiro. Niente. Alzò meglio la palpebra socchiusa: la pupilla era fissa, inerte.
“L'hai ammazzato.”
“Che cazzo dici ?” Alberto camminava avanti indietro per la stanza a testa bassa. La voce suggeriva a Lorenzo che vacillava, che non era così sicuro di quel che diceva. “Te l'ho detto, stavamo giocando, s'è sentito male...”
Gli occhi di Lorenzo caddero sul collo di Piero: un cerchio rosso di pelle abrasa proseguiva per tutta la circonferenza.
Poi notò una cintura abbandonata sul letto.
Aveva sentito parlare di queste cose, ma credeva fossero puttanate.
“Gioco del cazzo, che finisce col morto.”
“Ma no, che dici...è stato un incidente, Madonna ed ora?”
“E ora chiami un'ambulanza e lo porti via, e ora...”
“Ma no, dai, vorranno sapere, no? Verrà la polizia, farà domande! Oddio, oddio, siamo nella merda.”
“SEI nella merda, prego.”
“Ti prego aiutami, non lo possiamo lasciare così.”
“Vestilo!”
Non sapeva bene quel che faceva, ma la debolezza di Alberto lo ispirava. Forse poteva approfittare della situazione e pareggiare un po' di conti.
Piero era comunque morto e di più non poteva fare per lui.
Alberto obbediva senza fare domande.
“Vieni portalo fuori.”
“E dammi una mano, cazzo!”
“Tu hai fatto la frittata, tu butti i gusci. Muoviti!”
Alberto lo mise su una coperta e lo trascinò fuori.
“Andiamo al vecchio ponte. Lo buttiamo di sotto. E tu prega che non lo trovino subito.”
E così andò.
Lorenzo all'indomani se ne tornò a casa.
Alberto fece passare qualche giorno e poi denunciò la scomparsa insieme al furto di un po' di denaro.
Le autorità non si affannarono. Piero praticamente non lo reclamo nessuno ed aveva un passato da scapestrato, i soldi poi non erano molti. Solo Marta stava addosso al vecchio maresciallo della locale caserma, ma non ottenne niente.
A primavera fu rinvenuto un cadavere, ampiamente devastato dalle ingiurie del tempo e dagli animali del bosco, che amici e parenti furono chiamati ad identificare.
Quando fu il suo turno Lorenzo, osservò con inattesa freddezza il teschio scarnificato, ma non riconobbe i vestiti che quella notte maledetta gli avevano messo addosso: non era Piero.
In mancanza di qualsiasi elemento, tranne le urla di una ragazzina isterica, la cosa fu archiviata come incidente. Anni dopo, l'avvento del test del DNA permise di riconoscere in un anziano turista tedesco, sperdutosi nel bosco mesi prima, il proprietario di quel povero corpo martoriato.
Quella morte fu presto dimenticata, così come l'ostello. Lorenzo, iperattivo come non mai, macinava esami all'università mentre lavorava febbrilmente per gettare le basi di un futuro in campo immobiliare. Trascinandosi dietro Alberto, docile come un cagnolino, mise su una società di consulenze per le pubbliche amministrazioni, per la ristrutturazione e la gestione del patrimonio immobiliare. I contatti politici di Alberto aprivano molte porte e ben presto lui si dimostrò ben abile a sfruttarli. Al suo socio, di minoranza, lasciava il lavoro sporco di corruzione e gestione dei rapporti coi fornitori, lui faceva le pubbliche relazioni e sceglieva il personale.
Intanto mise velocemente in tasca la sua laurea.
Poco più che ventenne era diventato il 'Dottor Mazzini', ed un perfetto squalo.
Quando le pubbliche amministrazioni cominciarono a dismettere parte del patrimonio, fu la sua società a vincere aste regolarmente deserte, acquisendo i pezzi più pregiati.
A quarant'anni Lorenzo possedeva case e palazzi in posti di gran pregio. Giusto in tempo per cavalcare la bolla speculativa che investì il settore immobiliare nei primi anni 2000.
Il vecchio 'Elfo', comunque, era sparito presto di scena. Venduto dopo ad una società immobiliare straniera, era poi rimasto inutilizzato fino a cadere in rovina.
In quel novembre del 2013, mentre si avviava verso il ponte, l'occhio manageriale di Lorenzo non poté fare a meno di posarsi con maggior attenzione su quello scempio: “A volerci lavorare un po' potrebbe venirne fuori un posto interessante... Ma per chi ?” Scrollò le spalle e continuò il cammino.
Eccolo ! Il vecchio ponte venuto giù nel 1966. Gran parte della struttura in pietra, ben costruita durante il ventennio, sembrava intatta, ma Lorenzo sapeva bene come fosse solo apparenza. Non avevano mai provato ne a ricostruirlo ne a metterlo in sicurezza. A suo tempo l'ingegnere gli aveva detto che poteva crollare in qualsiasi momento, ma questo non destava preoccupazioni poiché sarebbe franato sul nulla, senza fare danni a cose o persone.
Ai due terzi della struttura ad archi, lunga in origine una trentina di metri, l'acqua aveva portato via i metri finali, oltre ad aver reso pericolante tutto il resto. Sotto, ad una quarantina di metri di profondità, scorreva un piccolo ruscello, detto 'il Germano', ghiacciato per gran parte dell'anno.
Arrivato al ponte, Lorenzo si avvicinò al suo imbocco, incerto sul da farsi.
Il cervello viaggiava veloce: forse Piero non era morto e voleva la sua vendetta ? Ma l'aveva visto volar via verso il nulla quella notte... Oppure...
Il sasso quasi lo colpì in volto, per istinto si voltò di colpo sentendone il fischio. La pietra ricadde alcuni metri dopo, già sul ponte. Lorenzo si guardò intorno, pronto a reagire, ma senza vedere nessuno. Infine fece caso a quanto gli era stato lanciato contro: il sasso era rivestito con della carta.
Con attenzione, si incamminò sul ponte, fino a raccoglierlo. Era un foglio di giornale a rivestirlo, un giornale regionale, un'edizione con la cronaca provinciale, non più vecchio di un mese.
Il titolo ne catturò subito l'attenzione: 'Dai ghiacci del Leopoldotto affiora un cadavere.'
'...è forse colpa del riscaldamento globale se anche gli ultimi piccolissimi ghiacciai perenni dell'alto Appennino stanno definitivamente sparendo. Il Leopoldotto, testardo, ha resistito fino ai giorni nostri, infine estinguendosi ma lasciandoci una sorpresa. Un cadavere del tutto irriconoscibile, probabilmente di un uomo, che ad una prima analisi risale a decenni se non a centinaia di anni fa. Ma aspettiamo ad eccitarci per il ritrovamento di un nuovo uomo di Similaun, le autorità ci avvertono che, molto più probabilmente, si tratta del cadavere di un giovane romano disperso in questi monti una trentina d'anni fa. I medici legali faranno chiarezza...'
Lorenzo non aveva mai smesso di guardarsi intorno, mentre leggeva, ma non riusciva a scorgere la minaccia che gli sembrava oramai imminente ed inesorabile.
Infine buttò il foglio di giornale per terra, subito portato via dal vento, e si mise ad urlare: -“Marta, lo so che sei tu. Guarda che dobbiamo parlarne io e te. Ti giuro che non ho fatto assolutamente nulla a Piero, fece tutto da solo. Marta, mostrati per favore !”
Lorenzo non ebbe il tempo di mettere a fuoco la cosa, che come dal nulla saltò fuori una grossa Jeep Willys rombante. Senza pensarci arretrò di alcuni metri sul ponte, mentre la Jeep quasi lo investiva, salvo fermarsi di colpo ad un metro da lui.
Lorenzo sudava, e si tastava i pantaloni come alla ricerca di un'arma che non aveva.
“Sempre inadeguato in questi casi...”
Però quella Jeep, quella Jeep lui la conosceva !
“Sei una testa di cazzo !” Urlò Alberto per farsi sentire sopra il rombo del motore: “Ma quale Marta ? Quella deficiente non si ricordava più di lui già dopo qualche mese... Non lo sai che morì pochi anni dopo di Aids da pere, quella povera stronza ?”
Alberto.
Lorenzo guardava incredulo, Alberto, il suo vecchio socio.
Il motore calò di giri, Alberto si mise quasi a singhiozzare: -“Io l'amavo, altro che quella stronzetta, Io ! Ed anche se sono passati tanti anni non l'ho mai dimenticato.”
“Ma... allora ? Non l'ho ucciso io, era con te quando...”
“Taci !” Alberto urlava in maniera isterica: -“Tu mi hai costretto ad ucciderlo ! Buttandolo da questo cazzo di ponte, ma non ci siamo mai accertati bene se fosse stato morto o no, e questo per colpa tua ! Lui non era morto, io lo so, me lo ha detto tante volte in sogno !”
Lorenzo tentava di avvicinarsi pian piano all'auto: -“Alberto, queste non sono spiegazioni razionali, che c'entrano i sogni ? Lui era morto, eccome, non puoi pensare sia sopravvissuto, era strafatto di eroina e lo hai pure strangolato nel vostro giochino, era...”
“Era vivo ! E sai perché lo so ? Il Germano non ha nessun collegamento col Leopoldotto, il Leopoldotto è in una conca chiusa che si può raggiungere solo a piedi. Lui era vivo. In qualche modo è sopravvissuto alla caduta, forse la neve, e poi ha camminato fino al ghiacciaio, solo e mal vestito, per morire di freddo in cerca di aiuto. Così l'hai ricompensato per averti salvato la vita, vero figlio di puttana ? Ma stavolta la paghi.”
Vivo ? Non poteva essere vero.
Lorenzo cercava una via di scampo, l'unica era farlo parlare, farlo parlare e confonderlo, come nei film.
“E la lettera ? Perché quella doppia scrittura, perché quelle date ? E l'affrancatura ?”
“Tutte cazzate create ad arte, ci voleva qualcosa di misterioso, senza essere troppo minaccioso, per portarti qui da solo.” Lorenzo non fece in tempo a replicare che Alberto pigiò l'acceleratore a tavoletta. La Jeep gli venne incontro, inesorabile, sul ponte. Lorenzo fu obbligato a fuggire verso lo squarcio.
Il bambino piangeva mentre suo padre, arrabbiatissimo, gli urlava sul viso: -“Sei generazioni, sei generazioni di Baldazar ! Mio nonno era conosciuto da tutte le coorti d'Europa, ed il bisnonno era di casa dallo Zar e tu.” puntava inesorabile l'indice verso il piccolo Stanislaw, “tu sarai il mio successore, calcherai le scene dei circhi di tutto il mondo !”
“Ma io non voglio, ho paura, non mi piac...” Stanislaw, che solo più tardi sarebbe diventato Lorenzo, fu colpito da un forte ceffone sulla bocca e cadde violentemente a terra. Suo padre puzzava di alcool a metri di distanza, tuttavia saltò su di un grosso pallone, rimanendovi in piedi in perfetto equilibrio: -“Guarda, è così che devi fare. Controlla il tuo corpo, non lasciare sia lui a farlo, e tutto sarà alla tua portata !”
Il bambino lo guardò e giurò a se stesso che non avrebbe deluso suo padre, non soltanto perché non voleva più ceffoni.
In una frazione di secondo Lorenzo interruppe la sua fuga verso il nulla e si voltò.
Alberto neppure vide, a malapena intuì, Lorenzo saltare sul cofano della sua Jeep e poi ancora dietro di lui. Fece appena in tempo a girare la testa, giusto per urlare, mentre precipitava verso il fondo del burrone con la sua macchina.
Lorenzo corse, corse, mentre il resto del ponte crollava sotto di lui.
Con un ultimo salto raggiunse il bordo, dietro di lui fumo e rumore.
“Grazie, bastardo di un ubriacone.” Pensò Lorenzo guardando il cielo.
Quando il fumo si diradò, il ponte era scomparso. Con lui la Jeep, sicuramente nascosta dalle macerie.
"Dubito lo troveranno mai."
Arrivò a casa in tarda mattinata.
Fu subito fermato dal vecchio, intenzionato a fargli un ennesimo appunto, ma stavolta non ebbe remore: -“Guardi, lei non lo sa, ma la casa dove vive è di mia proprietà. Può andare a controllare di chi è l'Agenzia che gliel'ha affittata. Se non smette di rompermi i coglioni le giuro che molto presto si ritroverà a bivaccare su di un marciapiede.”
Il vecchio diventò rosso in viso, iniziò a respirare malamente e si allontanò con passi incerti.
Quando la moglie lo vide entrare in casa gli fece una terribile sfuriata, per mettersi poi a piangere abbracciandolo con violenza. Lui le promise che le avrebbe spiegato tutto più tardi.
Dormì tutto il giorno, si alzò per ascoltare il telegiornale regionale delle 19.
Del ponte nessuno fece menzione, però un'altra notizia colpì la sua attenzione: -'Dai primi esami è subito risultato evidente che il cadavere ritrovato nel ghiacciaio del Leopoldotto è in effetti una mummia, forse risalente all'ultima era glaciale ! Interessanti i referti come...'
Lorenzo spense la Tv.
“Ma vaffanculo.” Disse sottovoce.
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