lunedì 27 aprile 2015

Quando la neve era nera


“La prima volta che mio nonno mi portò qui dentro ebbi molta paura. Dopo aver camminato a lungo nel bosco, muovendoci faticosamente nella macchia più inestricabile e buia, iniziai a pensare che avesse intenzione di abbandonarmi li. Avevo già visto sparire bambini e vecchi di famiglie che non avevano più da mangiare, e noi eravamo sempre a corto di cibo.
Scacciai subito il pensiero: mio nonno avrebbe preferito morire mille volte purché potessi vivere io.
Infine lo vidi entrare in una piccola cavità ai piedi di collina, coperta da un'enorme quercia ed assolutamente invisibile, se non si sapeva prima cosa cercare. Titubante lo seguii, e mi ritrovai dentro una caverna.
No, non era una caverna: le pareti di tufo vennero presto sostituite da mura simili a quelle di una casa, con i mattoni a vista nei molti punti dove l'intonaco era franato.
Il nonno aveva una grossa torcia, con la quale illuminò prima il suo viso brutto e buffo, poi le pareti; mi ritrovai dentro una grande stanza, con addirittura due finestre semidistrutte dalle quali era entrata una marea di fango, solidificato ormai da tanto tempo.
In mezzo alla stanza stava un tavolo, traballante e sporco, fatto di un materiale che non riconobbi.
Quello che mi colpì veramente furono le pareti.
Erano ricoperte in gran parte da strani ghirigori, senza senso alcuno. Avevo visto tanti disegni; noi bambini ci divertivamo a tracciare graffiti sui muri del villaggio, tentando di rappresentare cose e persone, ma questi segni mi risultavano incomprensibili.
Il nonno si sedette accanto ad una parete, e mi fece segno di fare lo stesso.
Puntò un dito sul muro e mi disse: -Franco, questa è 'scrittura'.
-Non capisco nonno, cosa vuoi dire ?- Lo guardai: che mio nonno fosse strano lo dicevano tutti in paese, alcuni addirittura sospettavano fosse uno stregone e spesso avevo fatto a pugni con altri bambini per questo motivo.
-Questa è parola, parola scritta. Questi simboli non sono casuali, permettono di fissare nell'eternità tutto quello che ci diciamo, di ricordare quel che abbiamo detto.
-Ed a cosa serve ?- I miei occhi erano spalancati, sentivo di stare per apprendere qualcosa di importante. -Ad esempio serve per sapere cosa dicevano i morti- ebbi un sussulto involontario -per imparare da loro, per lasciar detto chi eravamo a quelli che verranno dopo di noi.
Il nonno sorrise, ed alla luce della lampada quel suo naso enorme e pieno di peli mi apparve occupare tutta la vista.
Allora avevo sei inverni, e fu la prima volta che entrai qui dentro.
Mio nonno mi insegnò con insospettabile bravura a decifrare quei segni, così come, appresi, suo padre aveva fatto con lui molto tempo prima.
Venivamo nella caverna ogni qual volta fosse possibile, sempre di nascosto dagli altri abitanti del villaggio, sempre attenti a non farci scoprire.
-Tanto tempo fa Franco- mi disse il nonno -qualcuno decise che la scrittura era male, che era la causa delle nostre disgrazie; se guardi in molti vecchi muri del paese, soprattutto dentro il tempio, vedrai tanti punti dove lo scalpello ha tirato via delle parole che vi erano impresse, i resti di tempi civili, in cui gli uomini erano potenti e non avevano ne fame ne paura.
Non riuscivo ad immaginarmi giorni senza fame e senza paura, ed ancora oggi mi chiedo quanto ci sia di vero, e quanto sia dovuto alla fantasia di mio nonno.”

“Il nonno sembra sempre più magro, ma è forte ed in salute. Le sue trappole funzionano bene e molti gliele comprano, scambiandole con cacciagione e patate. Nella nostra casa, grande e fredda, non manca mai una pentola sul fuoco, così come abbiamo sempre delle pelli di lepre o di pecora conciate con cui confezionare vestiti. Il nonno è bravissimo con ago e filo: -Sono lo stilista delle dive !- Dice spesso, facendomi occhiolino. Una volta gli chiesi cosa volesse dire, e lui mi rispose che lo diceva suo padre, ma che neppure questi sapeva che significato avesse la frase.
Io sono diventato abbastanza grande per unirmi ai cacciatori, ed ho già portato a casa più di una volta la mia parte di cinghiale. Ricordo che il nonno mi abbracciò e pianse quando mi vide tornare con una grossa polpa sanguinolenta sotto braccio.
La mia mente però va sempre a questo posto, dove passo ore ed ore a 'leggere' questi segni, che non hanno più segreti per me.
Intanto la caverna non è davvero una caverna; un tempo era una casa all'aperto, come la nostra, che per chissà quale motivo è stata ricoperta dalla terra tanto tempo fa.
Le scritte appartengono a molte persone diverse, che raccontano la loro vita disperata in tempi anche molto lontani. Le più antiche si devono ad un certo Roberto, e sono in gran parte illeggibili per l'umidità che ha rovinato i muri. Al tempo di quest'uomo era successo qualcosa di tragico ed enorme da poco. Roberto parla di buio perenne e di freddo, di gente che muore come mosche. Tante cose non mi sono chiare affatto, non so cosa possa voler dire una frase come 'l'elettricità non tornerà mai più', ne tanto meno comprendo un lungo periodo dove parla di 'colonna sbandata dell'esercito' che avrebbe razziato senza pietà il paese. Sono tuttavia i numeri a lasciarmi perplesso: secondo Roberto 'almeno tremila persone del paese sono morte in poche settimane, ed altrettante sono fuggite verso chissà quale improbabile salvezza'.
Non riesco neppure ad immaginare così tanta gente tutta insieme.
Giorni fa, mentre tentavo di addormentarmi, guardavo le pareti nere di casa nostra. Mio nonno ha sempre detto che erano nere per un incendio di tanti anni prima.
Il pensiero mi era poi andato alla testimonianza di Marta. Gli scritti di Roberto si erano interrotti senza motivo apparente e questa Marta sembrava essergli subentrata, ma a distanza di anni.
Marta scrisse poco, e quel poco con una grafia indecifrabile, tuttavia mi aveva colpito parlando di come la neve non smettesse mai di cadere, e di come questa fosse nera.
Io conosco bene la neve, qui è presenza costante, ma la neve che conosco io è bianca, al limite grigio chiara. -Nonno- dissi -ma se la neve era nera... forse il cielo era andato a fuoco ?
Il nonno mi guardò pensoso, si grattò la testa in un suo gesto tipico e disse: -Dormi.”

“Oggi hanno sotterrato le ceneri del bambino di Luisa e Agelo, una coppia che abita nella nostra strada. E' la terza volta che provano a fare un figlio, è la terza volta che questo muore pochi mesi dopo la nascita. Luisa singhiozzava forte mentre l'uomo nero dava fuoco alla catasta di legna sulla quale era sistemato il corpicino. La guardo: è secca, bianca e sembra le siano rimasti solo gli occhi. Credo non vivrà ancora a lungo, ormai ha più di trenta inverni alle spalle. Ho incrociato lo sguardo di Agelo fisso su di me: ho notato odio ed invidia. Secondo mio nonno la mia salute e la mia pelle liscia e priva di bubboni vengono viste con sospetto da tutti. Sono il nipote dello stregone, e devo stare molto attento. Quando vado a caccia mi guardo sempre bene alle spalle.”

“La lettura degli avvenimenti ai tempi di Giuliano è particolarmente interessante.
Il paese era già abbastanza organizzato, non doveva essere molto diverso da adesso.
La gente si ammalava di meno e sempre più bambini riuscivano a superare la pubertà, tuttavia erano tempi molto violenti, con tanti scontri ed omicidi fra diverse fazioni del paese. Ecco, ora capisco; un certo Brunno prese in mano la situazione, vietò la scrittura, considerandola l'essenza del male, bruciò tutti i 'libri', che non ho idea cosa fossero, e pure molte persone.
Giuliano parla già di 'caverna nascosta' e di 'trasmettere il sapere'. Probabilmente è lui che dovrei ringraziare per quel che so, è da lui che è partito tutto.
Romaro scrisse poco, ma il suo racconto di come otto uomini partirono insieme per esplorare il mondo oltre la foresta, senza fare più ritorno, trasmette un'angoscia che non riesco a spiegarmi.
E' straziante nel descrivere la veloce malattia che gli uccise la moglie, il solito morbo che impregna i racconti su queste pareti: dimagrimento, diarree continue, forza che sparisce e sangue che abbandona il corpo da ogni via possibile. E' un male che gira ancora nella nostra comunità, forse una maledizione, anche se mio nonno mi dice di non credere alle maledizioni.
Fabro scrive soltanto che tutto quel che sa lo ha già trasmesso ad altri, e che adesso abbandonerà il villaggio in cerca di un'altra vita, senza preoccuparsi dei tanti che son partiti senza tornare; mi sembra di vederlo mentre dice: -forse non sono morti, forse non sono tornati perché hanno trovato un mondo molto migliore; prometto che tornerò se lo trovo.
Non ha scritto mai altro.”

“Ho finito di leggere tutto da molto tempo ormai, e provo una sensazione fastidiosa, come se qualcosa di me mancasse. Scrivo e scrivo, continuamente, solo per il gusto di rileggermi.
Addirittura, sicuro che nessuno mi vedesse, ho avuto la sfrontatezza di scrivere alcune frasi dentro il tempio. Le hanno scoperte presto, e subito cancellate. L'uomo nero ha tuonato contro il male che si annida dentro la nostra comunità, e mi sono pentito di aver fatto questa sciocchezza. Mentre parlava durante la cerimonia ha guardato spesso mio nonno, ma questi ha retto il suo sguardo senza scomporsi. Nessuno ha prove per accusarci, ed io mi guarderò bene dal rifarlo in futuro.
Per fortuna i miei quindici inverni hanno fatto di me un uomo forte, pieno di muscoli ubbidienti e temuto dagli altri. Vado a caccia da solo, e non torno mai senza prede.
Mio nonno sta sempre in casa, evitato da tutti. E' sempre molto triste e stanco. Ieri mi ha detto se non sia il caso di prendere in considerazione l'ipotesi di andarsene dal paese.
-Ovviamente parlo di te, io resto, sono troppo vecchio, morirò comunque presto.
Mi accorsi di avere le lacrime aglio occhi: -Non andrò via senza aver insegnato a qualcuno a leggere ed a scrivere.
-No !- Mio nonno scosse la testa guardandomi -questo paese non merita niente, pensa soltanto a te.
Domani partirò per una lunga battuta di caccia, rimarrò assente per alcuni giorni, ne approfitterò per spingermi verso i confini noti di questo posto che non riesco più a chiamare 'casa'.”

“Sono le ultime parole che lascio su questo muro; so che mi stanno cercando e che sono in molti. Ho fatto di tutto per celare le mie tracce ma non ho nessun luogo in cui nascondermi e questo posto non devono trovarlo. Hanno fatto un grave errore lasciando il corpo di mio nonno impiccato in bella vista all'albero presso l'ingresso principale del villaggio: appena l'ho visto ho capito che dovevo fuggire.
Ho trovato qualcosa che sembra una strada, doveva esserlo una volta. Ho molta carne con me, arco e frecce. Devo superare poche colline e poi non avranno più il fegato di seguirmi. Non ho idea di cosa troverò, ma ho due gessi in tasca e non chiedo di meglio che pareti su cui scrivere.
Farò rotolare come posso un grosso sasso per ostruire l'ingresso di questo posto.
Ricordatevi di me.”

-Alfer ! Alfer ! E' tardi ! A che punto sei ?
La voce arrivava smorzata dall'ingresso della grotta, ma chiara.
-Un attimo ragazzi, ancora due foto ed arrivo.
Alfer regolò con attenzione diaframma e tempo, sistemò la lastra ed il fulminante della lampada.
La stanza era in gran parte erosa dall'umidità, ma molte scritte erano comunque ben leggibili.
Scattò ancora quattro foto, e si sentì soddisfatto.
C'era un gran lavoro per l'università, testimonianze che coprivano tutto il primo secolo ed oltre ! Avevano materiale da studiare a lungo.
Alfer uscì dalla caverna e caricò tutto il materiale sul dorso del cavallo, prima di montare lui stesso in groppa.
-Il villaggio è solo un ammasso di rovine, molto poco interessante, ma qui- battè la mano con forza sulla sua valigia da fotografo -abbiamo un tesoro ! Alla faccia del rettore che ci considera dei perdigiorno !
I quattro giovani risero e si diressero verso la stazione; con la giusta andatura l'avrebbero raggiunta in poche ore.

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