venerdì 20 marzo 2015

Astronautica for dummies: la Voskhod 2 e la passeggiata di Leonov

Voskhod 2, un volo 'fortunato'

 Come abbiamo visto, in attesa dell'introduzione della ben più performante Soyuz, Korolev ed il suo staff avevano modificato ampiamente il progetto della Vostok, creando la Voskhod.
 Con tale capsula, dalle molte (e pericolose) modifiche avevano inviato nello spazio per la prima volta tre uomini insieme, battendo gli americani che ancora non avevano messo in orbita il loro nuovo progetto Gemini biposto. Il buon esito del volo aveva incoraggiato i sovietici ad utilizzare ancora tale configurazione, con l'ambizioso proposito di battere nuovi record e continuare per la strada che avrebbe dovuto portare i russi per primi sulla Luna.
 Tali aspettative furono tuttavia mal riposte, ed il 'quasi-disastro' della Voskhod 2 portò alla prematura fine di quest'ibrido d'emergenza.

 3KD, ovvero la 'Vykhod'
 Le modifiche alla Vostok avevano portato alla progettazione di tre diverse configurazioni:
 La 3KU era il modello che già aveva volato con tre cosmonauti a bordo; altre della stessa serie erano già in produzione, adattate per portare un solo uomo, ma con modifiche tali da permettere una permanenza in orbita di almeno 20-25 giorni (poi ridotti ad un massimo di 15). Lo scopo ultimo era testare la resistenza dei cosmonauti alle lunghe permanenze nello spazio, così da avere le informazioni necessarie per il tragitto di andata e ritorno dalla Luna.
 Molto più interessante la 3KD. Si trattava di una Voskhod con equipaggio di due cosmonauti, dotati di tuta spaziale (al contrario dell'equipaggio della Voskhod 1); la 3KD possedeva un ingegnoso sistema per permettere la prima EVA (attività extraveicolare) della storia dell'astronautica. Si trattava di un appendice gonfiabile, una grossa camera d'aria dotata di due portelli, uno direttamente sullo spazio ed uno nella capsula. Una volta in orbita tale camera veniva gonfiata ed estesa. Il cosmonauta abbandonava la capsula entrando in tale camera, chiudendo il portello d'accesso alle sue spalle per mantenere la corretta atmosfera e pressione nell'abitacolo; successivamente la miscela ad alto contenuto d'ossigeno che costituiva l'atmosfera della camera veniva lentamente espulsa, ed il cosmonauta apriva il portello esterno per potersi infine trovare in quello che è l'ambiente più ostile ad ogni forma di vita: il vuoto cosmico.
 Finita l'EVA l'intera procedura veniva eseguita al contrario, fino al ritorno nell'abitacolo del cosmonauta. La Voskhod così modificata venne in un primo momento denominata 'Vykhod' ('Uscita' in russo). Nel 1964 erano in programma nove voli Voskhod: cinque con la 3KU (dei quali almeno tre in versione monoposto da lunga permanenza) e quattro con la 3KD.
 E' da notare come la Voskhod, al contrario della Gemini americana, non avessa alcuna possibilità di effettuare operazioni di Docking, ovvero di attracco fra due diverse navi. Tale importantissima capacità veniva delegata al futuro dispiegamento della nuova Soyuz.



 Un bel modello della Voskhod 2 con la camera dispiegata



 Soliti problemi
 Come sempre vi furono molti problemi: il genio degli ingegneri russi dovette al solito scontrarsi con i mali endemici che afflissero sempre l'astronautica sovietica, a partire dalla scarsità di budget (neppure paragonabile all'equivalente statunitense), lo scontro fra le diverse equipe di scienziati (che lavoravano a diversi progetti in contrapposizione fra loro, anziché come un orchestra impegnata in un'unica sinfonia), fino ad arrivare all'estrema lentezza ed assurdità della burocrazia sovietica... un problema questo tipicamente russo, indipendentemente dalla forma di governo del paese...
 Molto tempo fu portato via dalla scelta dei cosmonauti, particolare importante in quanto la nuova 'tuta spaziale' adatta all'EVA, la Berkut, doveva essere costruita esattamente sulla figura del singolo cosmonauta. Il ballottaggio fra i candidati, una decina, durò a lungo. Tutti furono comunque considerati abili alla missione, e sottoposti ad allenamenti durissimi.
 All'epoca russi ed americani non sapevano come riprodurre in maniera realistica a terra le condizioni in cui si sarebbe trovato un astronauta in caduta libera nello spazio, ed i sovietici sperimentarono l'inadeguatezza dei pochi secondi di assenza di gravità simulata ottenibili all'interno di grandi aerei in caduta da alta quota. Tale tecnica, da sempre alla base dell'addestramento degli astronauti/cosmonauti (e tuttora indispensabile), era inadatta a provare tutte le lunghe procedure necessarie al cosmonauta per simulare adeguatamente l'uscita ed il rientro dalla camera gonfiabile.
 Sarebbero occorsi ancora degli anni anni prima che venisse trovata una soluzione semplice ed efficace: l'immersione in grandi vasche, chiusi nella tuta spaziale, si sarebbe dimostrata perfetta per simulare adeguatamente l'assenza di gravità.


 La tuta spaziale Berkut

 Portelli che non si chiudono
 Durante le prove a terra, con pressioni atmosferiche sempre più rarefatte, si faticò non poco per compensare adeguatamente la pressione fra la capsula, la camera ed il vuoto... tanto che nei primi esperimenti spesso il portello dell'airlock rifiutava di chiudersi. Ci vollero lunghe prove e perseveranza per arrivare al successo. Grande attenzione richiese il sistema automatico di pressurizzazione, che non doveva avere margine di errore alcuno.
 A disturbare ulteriormente il lavoro dello staff di Korolev sopraggiunse la defenestrazione di Krushev, avvenuta durante il volo della Voskhod 1 (come abbiamo già visto); la nuova situazione politica determinò una certa tensione fra gli scienziati, incerti su come i nuovi 'padroni' del Kremlino avrebbero messo mano al programma spaziale. Fortunatamente non vi furono nuove ingerenze. Una nota di fastidio venne inoltre da una serie di pubblicazioni di un professore belga, il quale sosteneva che tutti i cosmonauti sovietici di ritorno dallo spazio avrebbero sofferto di una strana forma di psicosi. Questa 'bufala', probabilmente disinformazione pilotata, ebbe una certa presa sull'opinione pubblica mondiale, e causò una forte rabbia nell'ambiente dei cosmonauti.
 Giustamente al vertice si decise di ignorare questa provocazione, che sparì nel nulla in breve tempo.


 Il manichino di un cosmonauta accanto alla camera dispiegata della Voskhod 2

 Cosmos 57
 Il 22 febbraio del 1965 venne lanciata in orbita una 3KD senza uomini a bordo, denominata Cosmos 57. Ufficialmente un semplice satellite per lo studio dell'alta atmosfera. Raggiunta l'orbita si poté osservare un corretto dispiegamento della camera di compensazione, nonché l'ottimo funzionamento della tuta spaziale vuota dentro la capsula. A seguire, pare per una serie di segnali sovrapposti inviati da due distinti punti di comando, la nave accese incidentalmente i retrorazzi e fece entrare in funzione il meccanismo di autodistruzione... Tale fallimento, all'epoca frequente per varie cause nei voli senza uomini a bordo, deve far pensare: certo le capacità di automatizzazione (e di tracciamento) dei sovietici erano allora limitate, ma è pur vero che i voli senza equipaggio, al contrario degli altri, non godevano dell'attenta supervisione della VVS (l'aviazione militare sovietica). Tale mancanza fu la causa di molti fallimenti.

 Vykhod ? Niet
 Risolti i problemi uno ad uno, arrivò infine il giorno del lancio.
 La denominazione Vykhod fu abbandonata, per non rivelare anzitempo agli americani lo scopo della missione, e si preferì denominare la stessa 'Voskhod 2' semplicemente.
 Il 18 marzo la Voskhod 2, con a bordo i cosmonauti Pavel Belyalye e Aleksey Leonov, si alzo in volo dal cosmodromo di Baikonur.

 Un guaio dietro l'altro
 Raggiunta correttamente l'orbita (con un record di altezza all'apogeo di 475 km) si iniziò la procedura atta alla prima passeggiata spaziale. Il prescelto, Leonov, raggiunse lo spazio senza problemi, e si ritrovò, primo uomo al mondo, a galleggiare in caduta libera, con la meravigliosa visione della terra sullo sfondo. Un'emozione fortissima.
 Dopo una decina di minuti si apprestò a rientrare nella capsula, e si sfiorò il dramma.


 Leonov in passeggiata...

 La tuta, ancora lungi dall'essere perfezionata, si era gonfiata eccessivamente e, nonostante i disperati tentativi, Leonov non riusciva più ad entrare nella camera. Oltretutto era estremamente impedito in ogni suo movimento: i guanti si erano talmente irrigiditi da non poter praticamente muovere le mani. Fortunatamente Leonov era uomo di valore e ben addestrato, non si perse d'animo. Con molta fatica, seguendo le indicazioni del centro di controllo, riuscì progressivamente a ridurre la pressione interna alla tuta, fino a sgonfiarla quel tanto che bastava per rientrare a bordo. Per un pelo non rischiò di diventare anche il primo cadavere in orbita...
 La durata superiore alle previsioni dell'EVA comportò inoltre, per compensazione del sistema di pressurizzazione automatico, un eccessiva percentuale di ossigeno nell'atmosfera della capsula, vicina al 50 %. Al contrario delle navi americane, con atmosfera tutto ossigeno (condizione pericolosa in se, come dimostra il disastro dell'Apollo1), le navi sovietiche usavano una miscela vicina a quella dell'atmosfera terrestre, e non essendo testate per una percentuale d'ossigeno così alta fu gravissimo il rischio di incendio fino a che il sistema di compensazione non ristabilì la condizione normale. Infine, dopo un volo durato poco più di un giorno, ci si apprestò al ritorno a terra... ma i guai non erano finiti.

 Balla con i lupi
 Il sistema automatico di accensione dei retrorazzi non funzionò, costringendo i cosmonauti ad utilizzare il sistema manuale. Come detto precedentemente, i comandi della Voskhod erano poco ergonomici, essendo ancora quelli della Vostok, e costringevano i cosmonauti a contorsionismi non indifferenti per essere attivati.. L'accensione fu dunque ritardata di un orbita, e venne usato il motore principale per frenare la nave, anziché i retrorazzi siti nel muso della capsula. A peggiorare ulteriormente la situazione ci pensò il modulo di servizio della nave, che non si stacco dal modulo di rientro come avrebbe dovuto: questo causò una forte autorotazione della capsula, finché il calore dell'atmosfera in rientro non bruciò gli ultimi legami, lasciando la capsula finalmente libera. Dopo tutte queste vicessitudini la capsula prese regolarmente terra, ma fuori rotta di 368 km, in un posto sperduto in mezzo ad una fitta foresta sugli Urali.
 L'attesa dell'equipaggio fu lunga. Per quanto identificati abbastanza presto dal corpo di recupero, quest'ultimo dovette faticare alquanto per riuscire a raggiungere l'impervia zona. I cosmonauti passarono un intera notte dentro la capsula, alquanto infreddoliti, e soprattutto circondati da qualche decina di lupi assolutamente affamati...
 Atterrati il 19 marzo, alle 09.02 ora locale, riuscirono a mettere piede sull'elicottero di soccorso (che dovettero raggiungere con gli sci insieme ai soccorritori) soltanto la mattina del 21.

 Stop alla Voskhod
 Tale catastrofe mancata determinò la fine della Voskhod e l'accelerazione del ben più performante progetto Soyuz. Due note curiose: i cosmonauti Leonov e Belyayev vennero messi successivamente sotto accusa dai vertici militari, per aver parlato con alcuni astronauti americani in visita a Mosca poco tempo dopo il volo. La colpa, secondo la solita paranoia sovietica, stava nel aver dato agli americani utili consigli per il loro imminente primo space-walking... fortunatamente tutto fu presto dimenticato. Altra nota: La Voskhod 3 venne comunque messa in programma, ed ufficialmente non fu MAI annullata. C'é ancora una missione Voskhod in lista per la partenza, a 40 anni di distanza dall'ultimo volo, all'astrodromo di Baikonur…

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